📌 S. MESSE

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Il mercatino Caritas
"Dai & Dai"

Aperto tutti i giorni
escluso il lunedì
dalle 15.30 alle 17.30
NUOVA SEDE
presso i locali della Chiesa Parrocchiale Spirito Santo a Gaggiano

Accesso da via della Marianna - discesa con scale e scivolo

Intenzioni e celebrazioni particolari

OMELIA del 21 gennaio 2018
(settimana dell’educazione)

LETTURE: Nm 11, 4-7. 16a. 18-20. 31-32a; Sl 104 (105); 1 Cor 10, 1-11b; Mt 14, 13b-21
VIDEO: Jovanotti – Ragazzini per strada

“Giovani senza futuro”…così molti giornali negli ultimi anni hanno definito la generazione y, quella generazione che ha più o meno la mia età, una generazione che fatica a realizzarsi: non trova un lavoro e se lo trova stabile non è il lavoro che possa esprimere al meglio le sue capacità, non riesce a mettere su famiglia e inizia a faticare nelle scelte definitive che appartengono alla propria vita. E mentre man mano la fiducia in un avvenire sembra svanire, ci rendiamo conto che a seguito della generazione x altre due, la y e la z, iniziano a emergere.

Il problema vero è che l’alfabeto si esaurisce con queste lettere: sembra quasi che il futuro di ognuno non sia più presente.

“E ci credo veramente non sarà così per sempre”: così l’autore di questa canzone che abbiamo ascoltato dice a riguardo. Sarebbe davvero bello se tutti lo condividessimo, se tutti avessimo almeno un briciolo di entusiasmo per poter superare questi momenti, per credere che un futuro c’è ancora.

Ci troviamo spesso stanchi e lamentosi così come il popolo nel deserto che preferiva la schiavitù dell’Egitto alla pazienza da avere nell’educazione che Dio stesso gli sta donando. “E la sera che arriva a dividere / Chi va a casa e chi resta a decidere / Se dormire o volare / Su questo tratto di mare / Che è più stretto del vicolo buio di casa tua “. Qualcuno alla fine la decisione di volare la prende, anche se il tratto di mare è stretto, anche se le opzioni di fallimento sono molto più alte e profonde di quelle di successo: è questa l’indole dei ragazzi, di chi giovane lo è di spirito.

Eppure anche questo ci porta a riflettere maggiormente, perché si ha almeno l’impressione che i ragazzi si trovino sempre più a essere ospiti del mondo e non più abitanti. Sembra che l’entusiasmo nel saper rischiare stia venendo meno. Se non si conosce l’obiettivo fino in fondo non si percorre nemmeno la strada, quella strada che dovrebbero abitare almeno idealmente, perché questo mondo appartiene a noi come a loro.

Davvero tutti loro cercano di capire chi gli voglia bene, se qualcuno li vada a cercare, perché a loro ci tiene. I “ragazzini per strada” si giocano la vita, perché possono continuamente spendere tutto ciò che hanno nel vivere la loro vita.

Negli ultimi anni abbiamo avuto diverse confusioni che ci hanno portato qua e là a non intendere più il reale e giusto punto di vista e ci ritroviamo quindi con tre generazioni, che ormai superano i trent’anni di differenza, a non credere più nella realtà delle cose, ad allontanarsi sempre di più gli uni dagli altri fino a isolarsi, a non voler crescere e ad aver paura di crescere, perché gli adulti sì che hanno problemi, non sanno nemmeno più godersi “una bella giornata”.

Educazione. Di questo hanno bisogno i ragazzi di oggi (e quante volte l’abbiamo ripetuto!), ma di educazione ne abbiamo avuto bisogno tutti noi per primi, un’educazione che non abbiamo ricevuto solo nelle mura domestiche, ma che tutte le agenzie educative che abbiamo frequentato nella vita ci hanno trasmesso, più o meno consapevolmente.

Educazione è tirare fuori ciò che sta dentro per arrivare a una meta. E noi siamo molto convinti dell’educazione cristiana, che possa condurre all’immagine e alla somiglianza con il Signore Gesù, esempio per la nostra vita e nostro modello di riferimento.

L’educazione è mostrare l’esempio perché d’esempio sono ogni singola parola, ogni singolo gesto, ogni singola azione che entra nella vita.

L’educazione passa da chi è capace di non delegare questo compito non ritenendolo proprio, ritenendo che ci sia qualcuno di più bravo o di più pratico o di più qualificato o semplicemente perché è compito suo. L’educazione passa da chi è disponibile a mettersi a cercare, a dare un amore che sovrabbonda perché prima di tutto a lui o a lei questo amore è passato e vi ha preso la sua dimora.

L’educazione passa senza tempi, luoghi e orari prestabiliti. L’educazione passa senza l’orologio. E senza essere schizzinosi, perché l’educatore (come ogni adulto e come ognuno dei presenti della Comunità Educante) sa sporcarsi le mani e sa che senza quel gesto non si può fare nulla che serva.

L’educazione passa nella fiducia. Chiedere a ognuno quello che può dare e avere la pazienza che tutto sia compiuto nei tempi certi. L’educatore è cosciente che i frutti non sa se li vedrà, ma sa che deve seminare bene e arare bene il campo che gli è affidato.

L’educazione passa nell’entusiasmo di ogni momento. “Oggi è una bella giornata”: mi basta poco per poterlo capire, mi basta non sentire il passato come un momento nostalgico da far rivivere assolutamente nel presente, ma piuttosto ascoltarlo con una certa commozione e ammirazione dei passi che sono compiuti e di altri che ancora mi spettano da compiere, perché il futuro c’è. E se vedo il mondo, chi mi sta attorno, i giovani e i “ragazzini per strada” con astio e con il desiderio che “ci penserà qualcun altro” in ogni singolo momento, nessuno seguirà il mio esempio, le mie parole non saranno credibili e la sfiducia nel mio esempio, anche se ammirevole potrà mai passare.

Passa, invece, il bene che vogliamo, anche se i gesti in diversi momenti sono errati, passa il desiderio di imitare se come esempi mettiamo in atto l’amore, se abbiamo il desiderio di gridare con la nostra vita “io ti voglio bene”.

Qualcuno che lo grida con la sua vita c’è, noi siamo chiamati a collaborare per questo. Pensate alle folle in quel giorno: tutti alla ricerca del Signore (e credo che siano stati bene trovandosi gli uni con gli altri, pur essendo così tanti). Il Signore chiede ai discepoli di dare loro da mangiare (dove l’occhio umano non arriva, si entra in profondità per vedere il bisogno). Il Signore chiede ai suoi discepoli di collaborare con lui a questo grande bene, al mettere in atto quella compassione che ci smuove dentro. E, inoltre, dice “voi stessi date loro da mangiare”. Non si prende il merito di tutto questo, ma lo riconsegna a loro.

Lasciamoci accompagnare dal Signore in questo grande compito, rendendoci sempre di più suoi collaboratori, attenti all’ascolto della vita dell’altro, attenti alla vita dei ragazzini che incontriamo per strada, fin dentro le nostre comunità, che siano dentro e che siano fuori dai nostri oratori a noi sono affidati. Giocheranno ai soldati, ruberanno miliardi per comprarsi gelati, scavalcheranno le reti, ignoreranno i divieti, inseguiranno ancora Gesù con lo skate per sfuggire dai preti…finché non capiranno davvero che, attraverso la nostra vita, l’amore di Dio per loro potrà arrivare e questo gli porta la speranza di un futuro.

Con la nostra vita ridoniamo il futuro a questo mondo, a queste generazioni. Il futuro non è perso: basta solo essere pronti a volare e per questo c’è bisogno che qualcuno, o meglio, tutti accompagniamo a spiccare il volo. La vita “quando sembra finita / magari è appena iniziata”.

Don Francesco

 

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